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mercoledì 9 dicembre 2009

Uno sguardo sul mondo

a cura di Don Domenico

Diverse notizie di questi giorni riguardano fatti molto diversi tra loro, ma tra loro uniti da un filo comune: la polemica sulla presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche, tribunali e ospedali; le ronde anti-immigrati chiamate da un sindaco a “fare pulizia” prima delle festività del Natale, festa della “nostra tradizione”; il referendum anti-minareti in Svizzera; la proposta di inserire il Crocifisso nella bandiera italiana. Certo è strana la presenza di tanti argomenti “religiosi” in un’Italia, e in una Svizzera, che rivendica la propria “laicità”, ovvero il proprio distacco dalla fede cristiana. Eppure “laicità” e affermazione della propria identità “cristiana”, a ben vedere, potrebbero avere molto in comune. Una delle caratteristiche più evidenti del mondo in cui viviamo è l’affermazione dell’ “individuo”, che ha messo l’accento sulle sue proprie aspettative e sulla propria libertà di autodeterminarsi. Il conseguimento non del bene comune, ma solo del bene individuale ha modificato anche le leggi del nostro stato. La società ha certo riconosciuto importanti libertà e diritti, ma, d’altro canto, la persona si è ritrovata del tutto isolata, senza più punti di riferimento per valutare e riconoscere la realtà, la verità su chi egli realmente sia. Non potendo accedere a una vera conoscenza, ogni sensazione che viene provata, ogni opinione che appaia attraente, ogni causa che sembri affermare la propria identità viene accettata con ardore. Da una parte vengono esaltate le opinioni personali, per quanto assurde possano essere, dall’altra, non basandosi esse su alcuna oggettività, su alcuna realtà riconosciuta come vera, non possono essere condivise, diventare patrimonio comune per gli altri, ma possono solo essere negoziate, o affermate con la violenza, fisica o verbale. La paura dell’isolamento e della solitudine diventa talmente forte da indurre le persone a cercare un’identità basata su piccoli ideali condivisi, di cui non importa la razionalità, quanto la loro capacità di soddisfare i propri bisogni di identità, di condivisione, di sostegno reciproco, di scopo della propria vita: il tifo calcistico, l’identità nazionale, il partito politico, la setta religiosa, il gruppetto parrocchiale, alla fin fine, si equivalgono. Non è un caso che anche all’interno della stessa Chiesa si creino piccoli gruppi dall’identità molto forte, ma anche molto chiusi, che richiedono molto impegno (e maggiore è l’impegno richiesto maggiore è il loro potere di donare identità alla persona), aggressivi verso chi non li riconosce come unica vera via verso Dio. Così, non c’è da meravigliarsi che addirittura il Natale, segno dell’amore di Dio che viene a condividere l’esperienza umana attirando tutti gli uomini di ogni religione (i Magi nella Bibbia, e nella nostra società i musulmani, che festeggiano con noi il Natale) e persino il Crocifisso, segno dell’amore di Cristo che “attira tutti a sé”, perché condivide il dolore, la sofferenza e la morte di ciascuno, segno dell’amore che abbatte ogni barriera (“non esiste più greco né giudeo”, dice Paolo) possano diventare strumenti di segregazione degli altri, vissuti come una minaccia della propria identità. Quelli stessi che a Messa non vengono, che non riconoscono autorità alla Chiesa, che la fede non la vivono, la rivendicano come cosa propria contro gli immigrati, i diversi. Non c’è bisogno di citare il Vangelo, basta fermarsi alla Legge dell’Antico Testamento: “Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu lo amerai come te stesso …” (Lv 19, 33-34). La Chiesa è invece comunità, luogo di accoglienza, dove ogni diversità è contributo alla bellezza di un’unità che non è mai uniformità, dove i fratelli condividono lo stesso pane, materiale ed eucaristico, come dono di un unico Padre. Maestra di vera umanità, propone come modello della nostra identità il Signore Gesù Cristo, vero Uomo, per donarci il nostro vero volto, e vero Dio, per renderci partecipi della Sua stessa vita, della Sua stessa gioia. L’Eucaristia adorata, celebrata e vissuta insieme è il più grande antidoto a ogni solitudine, chiusura, aggressività, lotta. È segno di una fratellanza che non si lascia sconfiggere dal fanatismo dell’altro, ma tutti abbraccia perché possano scoprire il vero volto dell’uomo, fatto a immagine di Dio.

Cosa rappresenta per me l'oratorio?

a cura di Emma

Quando Don Domenico mi ha chiesto di scrivere cosa rappresentasse per me l’oratorio ho pensato prima di tutto ad uno spazio aperto di accoglienza per i giovani, che offrisse un’occasione di gioco e di approfondimento di discipline quali la musica o lo sport dove i ragazzi possano imparare, incontrarsi fra di loro ed esprimere se stessi. Ma l’oratorio non è solo un momento di incontro, ciò che lo differenzia da altri spazi aggregativi sociali è l’aspetto valoriale cristiano e cattolico, che fornisce la giusta guida per la crescita e fa da argine ai disvalori sociali dilaganti. Questo consente a noi genitori di avere la tranquillità che i propri figli crescano e vivano le loro esperienze con i coetanei in un ambiente sano e sicuro, capace di stimolare lo spirito di fratellanza e di diffondere i valori cristiani. Pensando poi alla mia personale esperienza di genitore, l’oratorio oltre ad essere un luogo dove i miei figli incontrano i loro amici, giocano e si divertono, è uno spazio in cui anche io posso incontrare altri genitori con cui condividere pensieri e riflessioni, ma non solo: dallo scorso anno l’oratorio è stato anche l’occasione per riavvicinarmi alla musica. Infatti grazie a Don Domenico e a Stefano, bravo e paziente musicista, superate le normali resistenze e timidezze, mi sono presentata nel gruppo dei giovani aspiranti chitarristi e ho ripreso a suonare la chitarra e spero che questo rappresenti anche per altri genitori una buona occasione per risvegliare antichi interessi tralasciati per motivi di tempo e di impegni quotidiani, pensando che nella vita non si finisce mai di imparare e non c’è un tempo preciso per iniziare. Quindi l’oratorio è per me un ambiente di condivisione di valori cristiani e di spiritualità ma è anche una bella occasione per imparare cose nuove e provare a mettersi alla prova. Grazie per la piacevole opportunità!

C’era un volta l’oratorio: i punti COR

a cura di Antonio

Il C.O.R. (Centro Oratori Romani) è stato fondato nel 1945 da Arnaldo Canepa, catechista laico romano. E' un'associazione di catechisti laici, volontari, che operano per promuovere la pastorale oratoriana a Roma e si pone come finalità religiose e sociali la promozione di un servizio di accoglienza tra i ragazzi nelle parrocchie di Roma attraverso uno stile di animazione del tempo libero con attività sportive, teatrali, culturali e ricreative, finalizzato alla integrazione, nella quotidianità, tra fede e vita…ancora oggi tanti oratori romani fanno parte di questa associasione. (cfr. http://www.centrooratoriromani.org/contact/chisiamo.html)
Un tempo anche il nostro oratorio era affiliato al C.O.R. Non c’era bisogno di soldi in oratorio…ma i punti COR erano il denaro che si “guadagnava” e si “spendeva” nell'oratorio. C’erano punti ordinari e i punti speciali (punti gialli) che valevano 5 di quelli ordinari. I punti venivano distribuiti gratuitamente ai presenti nelle attività dell’oratorio: la messa, il catechismo, la preghiera. Chi più partecipava più ne riceveva. Ma a che servivano questi punti? Con i punti COR si poteva partecipare ai giochi che venivano organizzati per la festa dei ragazzi, alle “olimpiadi oratoriane”, ai tornei sportivi, alle attività estive. Era fondamentale in ogni attività avere un comportamento educato e corretto e avere rispetto per le regole. Con questa organizzazione e un po’ più di rispetto, l’oratorio era uno spazio di formazione e di vera crescita cristiana.

Storia e significato della festa dell'Immacolata

a cura di Giuseppe

L’8 dicembre ricorre la solennità più alta e più preziosa di Colei che dei Santi è chiamata Regina. L’Immacolata Concezione di Maria è stata proclamata nel 1854, dal Papa Pio IX. Ma la storia della devozione per l’Immacolata è molto più antica. Precede di secoli, anzi di millenni, la proclamazione del dogma che come sempre non ha introdotto una novità, ma ha coronato una lunghissima tradizione. Già i Padri della Chiesa d’Oriente, nell’esaltare la Madre di Dio, avevano avuto espressioni che la ponevano al di sopra del peccato originale. L’avevano chiamata: “Intemerata, incolpata, bellezza dell’innocenza, più pura degli Angeli, giglio purissimo, germe non avvelenato, nube più splendida del sole, immacolata”. In Occidente, però, la teoria dell’immacolatezza trovò una forte resistenza per uno scoglio dottrinale che fu superato dal francescano Giovanni Duns,. Dopo di lui, la devozione dell’Immacolata si diffuse sempre di più. Dal 1476, la festa della Concezione di Maria venne introdotta nel Calendario romano. Sulle piazze d’Italia, predicatori celebri tessevano le lodi della Vergine immacolata: tra questi, San Leonardo da Porto Maurizio e San Bernardino da Siena. Nel 1830, la Vergine apparve a Santa Caterina Labouré, la quale diffuse poi una “medaglia miracolosa” con l'immagine dell’Immacolata, cioè della “concepita senza peccato”. Questa medaglia suscitò un’intensa devozione e molti Vescovi chiesero a Roma la definizione di quel dogma che ormai era nel cuore di quasi tutti i cristiani. Così, l’8 dicembre 1854, Pio IX proclamava la “donna vestita di sole” esente dal peccato originale, tutta pura, cioè Immacolata. Quattro anni dopo, le apparizioni di Lourdes apparvero una prodigiosa conferma del dogma che aveva proclamato la Vergine “tutta bella”, “piena di grazia” e priva di ogni macchia del peccato originale. Una conferma che sembrò un ringraziamento, per l’abbondanza di grazie che piovvero sull’umanità. Dalla devozione per l’Immacolata ottenne immediata diffusione, in Italia, il nome femminile di Concetta, in Spagna quello di Concepción.

La storia ed il significato dell’oratorio: Don Bosco…ultima parte

a cura di Sara

Nel numero precedente abbiamo raccontato degli inizi dell’opera di Don Bosco e della formazione del primo gruppo di ragazzi che avrebbe dato il via all'Oratorio di Don Bosco…era l’8 Dicembre 1841….
Non passò molto tempo che il gruppo crebbe a tal punto che il sacerdote richiese l'assistenza di tre giovani preti: Don Carpano, Don Ponte e Don Trivero. Anche alcuni ragazzi cominciarono ad aiutarlo specialmente per tenere a bada i più impulsivi ed indisciplinati. Nella primavera del 1842, al ritorno dal paese, i fratelli Buzzetti conducevano con loro il più piccolo, Giuseppe, che si affezionò molto a Don Bosco e decise, in età adulta, di seguire la via del sacerdozio, divenendo così suo braccio destro nella gestione del futuro ordine salesiano.
Nell'Autunno del 1844 Giuseppe Cafasso comunicò a Don Bosco che era stato scelto per dirigere l'ospedale di Santa Filomena. Don Cafasso sperava che l'amico potesse fare amicizia con Giovanni Borel, un sacerdote legato allo stesso re, che avrebbe sicuramente potuto aiutarlo con dei finanziamenti economici per l'Oratorio.
Il 12 Aprile del 1846, nel giorno di Pasqua, finalmente Don Bosco trovò un posto per i suoi ragazzi, la tettoia Pinardi a Valdocco, niente di più che una tettoia con un prato, certo non sarà stato un luogo da favola, ma era pur sempre uno spazio tutto loro dove potersi ritrovare, come si suole convenire in questi casi, "meglio de niente".
Nel 1854 don Bosco diede inizio alla Società Salesiana, con la quale assicurò la stabilità delle sue opere e del suo spirito anche per gli anni futuri. Dieci anni dopo pone la prima pietra del santuario di Maria Ausiliatrice.
Nel 1872, con Santa Maria Domenica Mazzarello, fondò l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con lo scopo di educare, con il medesimo spirito, la gioventù femminile. Don Bosco fu davvero contagioso per tutti, il suo messaggio educativo si condensò intorno a sole tre parole:ragione, religione, amorevolezza. Ma alla base ci fu un immenso e profondo amore per i giovani e si sa che l'amore è la chiave per aprire tutte le porte e fu la chiave della sua opera educativa.
E noi che altro potremmo fare se non ricordarlo, seguire i suoi insegnamenti e dirgli grazie?!

Ma chi era San Tarcisio? Terza ed ultima parte

a cura di D. Domenico

Tarcisio era un ragazzino che frequentava le Catacombe di San Callisto ed era tanto fedele alla vita della giovane Chiesa romana da ricevere tutti i sacramenti, nonostante essi si amministrassero allora solo agli adulti; prima del battesimo si richiedeva a quei tempi un periodo triennale ("catecumenato") di preparazione. Durante la Veglia Pasquale Tarcisio ricevette i tre sacramenti dell'iniziazione cristiana, il battesimo, l'eucaristia e la confermazione. Negli anni dell’imperatore Valeriano le persecuzioni erano veramente brutali ed era diventato assai difficile il compito dei diaconi e degli accoliti, che dovevano portare l'eucaristia dalle Catacombe alle carceri, dove erano imprigionati i cristiani, e agli ammalati. Un giorno il sacerdote si guardò attorno per cercare qualcuno che si incaricasse di tale gravoso compito. Solo Tarcisio si offre volontario. Alla protesta del sacerdote, che lo riteneva troppo giovane, egli rispose: "Morirò piuttosto di cederla". Il pericolo era sia di essere imprigionati, in quanto cristiani, sia di vedersi sottratta l’ostia consacrata, il che sarebbe stato un sacrilegio. Tarcisio attraversò dunque le vie della città, evitando sia i luoghi molto frequentati sia quelli troppo deserti. Non distava molto dal carcere: c'era soltanto da attraversare una grande piazza, dove alcuni ragazzi che giocavano. Tarcisio era da loro conosciuto, ma non sapevano che era un cristiano. Egli rifiutò l'invito a giocare ma uno di loro si accorse che custodiva qualcosa. Giunse un signore anziano che capì che era un cristiano che portava l’eucaristia e dette inizio al pestaggio: il sangue di Tarcisio cominciò a spandersi su quel luogo. Giunse allora un ufficiale di nome Quadrato, segretamente cristiano, che intimò ai ragazzi di andarsene. Si chinò quindi sul morente Tarcisio che gli disse: "Io sto morendo, Quadrato, ma il Corpo del Signore è salvo! Ti prego, portami dal sacerdote!". Giunto là, Tarcisio era già morto. Subito le sue spoglie furono poste nelle stesse Catacombe di San Callisto.