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mercoledì 9 dicembre 2009

Uno sguardo sul mondo

a cura di Don Domenico

Diverse notizie di questi giorni riguardano fatti molto diversi tra loro, ma tra loro uniti da un filo comune: la polemica sulla presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche, tribunali e ospedali; le ronde anti-immigrati chiamate da un sindaco a “fare pulizia” prima delle festività del Natale, festa della “nostra tradizione”; il referendum anti-minareti in Svizzera; la proposta di inserire il Crocifisso nella bandiera italiana. Certo è strana la presenza di tanti argomenti “religiosi” in un’Italia, e in una Svizzera, che rivendica la propria “laicità”, ovvero il proprio distacco dalla fede cristiana. Eppure “laicità” e affermazione della propria identità “cristiana”, a ben vedere, potrebbero avere molto in comune. Una delle caratteristiche più evidenti del mondo in cui viviamo è l’affermazione dell’ “individuo”, che ha messo l’accento sulle sue proprie aspettative e sulla propria libertà di autodeterminarsi. Il conseguimento non del bene comune, ma solo del bene individuale ha modificato anche le leggi del nostro stato. La società ha certo riconosciuto importanti libertà e diritti, ma, d’altro canto, la persona si è ritrovata del tutto isolata, senza più punti di riferimento per valutare e riconoscere la realtà, la verità su chi egli realmente sia. Non potendo accedere a una vera conoscenza, ogni sensazione che viene provata, ogni opinione che appaia attraente, ogni causa che sembri affermare la propria identità viene accettata con ardore. Da una parte vengono esaltate le opinioni personali, per quanto assurde possano essere, dall’altra, non basandosi esse su alcuna oggettività, su alcuna realtà riconosciuta come vera, non possono essere condivise, diventare patrimonio comune per gli altri, ma possono solo essere negoziate, o affermate con la violenza, fisica o verbale. La paura dell’isolamento e della solitudine diventa talmente forte da indurre le persone a cercare un’identità basata su piccoli ideali condivisi, di cui non importa la razionalità, quanto la loro capacità di soddisfare i propri bisogni di identità, di condivisione, di sostegno reciproco, di scopo della propria vita: il tifo calcistico, l’identità nazionale, il partito politico, la setta religiosa, il gruppetto parrocchiale, alla fin fine, si equivalgono. Non è un caso che anche all’interno della stessa Chiesa si creino piccoli gruppi dall’identità molto forte, ma anche molto chiusi, che richiedono molto impegno (e maggiore è l’impegno richiesto maggiore è il loro potere di donare identità alla persona), aggressivi verso chi non li riconosce come unica vera via verso Dio. Così, non c’è da meravigliarsi che addirittura il Natale, segno dell’amore di Dio che viene a condividere l’esperienza umana attirando tutti gli uomini di ogni religione (i Magi nella Bibbia, e nella nostra società i musulmani, che festeggiano con noi il Natale) e persino il Crocifisso, segno dell’amore di Cristo che “attira tutti a sé”, perché condivide il dolore, la sofferenza e la morte di ciascuno, segno dell’amore che abbatte ogni barriera (“non esiste più greco né giudeo”, dice Paolo) possano diventare strumenti di segregazione degli altri, vissuti come una minaccia della propria identità. Quelli stessi che a Messa non vengono, che non riconoscono autorità alla Chiesa, che la fede non la vivono, la rivendicano come cosa propria contro gli immigrati, i diversi. Non c’è bisogno di citare il Vangelo, basta fermarsi alla Legge dell’Antico Testamento: “Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu lo amerai come te stesso …” (Lv 19, 33-34). La Chiesa è invece comunità, luogo di accoglienza, dove ogni diversità è contributo alla bellezza di un’unità che non è mai uniformità, dove i fratelli condividono lo stesso pane, materiale ed eucaristico, come dono di un unico Padre. Maestra di vera umanità, propone come modello della nostra identità il Signore Gesù Cristo, vero Uomo, per donarci il nostro vero volto, e vero Dio, per renderci partecipi della Sua stessa vita, della Sua stessa gioia. L’Eucaristia adorata, celebrata e vissuta insieme è il più grande antidoto a ogni solitudine, chiusura, aggressività, lotta. È segno di una fratellanza che non si lascia sconfiggere dal fanatismo dell’altro, ma tutti abbraccia perché possano scoprire il vero volto dell’uomo, fatto a immagine di Dio.

Cosa rappresenta per me l'oratorio?

a cura di Emma

Quando Don Domenico mi ha chiesto di scrivere cosa rappresentasse per me l’oratorio ho pensato prima di tutto ad uno spazio aperto di accoglienza per i giovani, che offrisse un’occasione di gioco e di approfondimento di discipline quali la musica o lo sport dove i ragazzi possano imparare, incontrarsi fra di loro ed esprimere se stessi. Ma l’oratorio non è solo un momento di incontro, ciò che lo differenzia da altri spazi aggregativi sociali è l’aspetto valoriale cristiano e cattolico, che fornisce la giusta guida per la crescita e fa da argine ai disvalori sociali dilaganti. Questo consente a noi genitori di avere la tranquillità che i propri figli crescano e vivano le loro esperienze con i coetanei in un ambiente sano e sicuro, capace di stimolare lo spirito di fratellanza e di diffondere i valori cristiani. Pensando poi alla mia personale esperienza di genitore, l’oratorio oltre ad essere un luogo dove i miei figli incontrano i loro amici, giocano e si divertono, è uno spazio in cui anche io posso incontrare altri genitori con cui condividere pensieri e riflessioni, ma non solo: dallo scorso anno l’oratorio è stato anche l’occasione per riavvicinarmi alla musica. Infatti grazie a Don Domenico e a Stefano, bravo e paziente musicista, superate le normali resistenze e timidezze, mi sono presentata nel gruppo dei giovani aspiranti chitarristi e ho ripreso a suonare la chitarra e spero che questo rappresenti anche per altri genitori una buona occasione per risvegliare antichi interessi tralasciati per motivi di tempo e di impegni quotidiani, pensando che nella vita non si finisce mai di imparare e non c’è un tempo preciso per iniziare. Quindi l’oratorio è per me un ambiente di condivisione di valori cristiani e di spiritualità ma è anche una bella occasione per imparare cose nuove e provare a mettersi alla prova. Grazie per la piacevole opportunità!

C’era un volta l’oratorio: i punti COR

a cura di Antonio

Il C.O.R. (Centro Oratori Romani) è stato fondato nel 1945 da Arnaldo Canepa, catechista laico romano. E' un'associazione di catechisti laici, volontari, che operano per promuovere la pastorale oratoriana a Roma e si pone come finalità religiose e sociali la promozione di un servizio di accoglienza tra i ragazzi nelle parrocchie di Roma attraverso uno stile di animazione del tempo libero con attività sportive, teatrali, culturali e ricreative, finalizzato alla integrazione, nella quotidianità, tra fede e vita…ancora oggi tanti oratori romani fanno parte di questa associasione. (cfr. http://www.centrooratoriromani.org/contact/chisiamo.html)
Un tempo anche il nostro oratorio era affiliato al C.O.R. Non c’era bisogno di soldi in oratorio…ma i punti COR erano il denaro che si “guadagnava” e si “spendeva” nell'oratorio. C’erano punti ordinari e i punti speciali (punti gialli) che valevano 5 di quelli ordinari. I punti venivano distribuiti gratuitamente ai presenti nelle attività dell’oratorio: la messa, il catechismo, la preghiera. Chi più partecipava più ne riceveva. Ma a che servivano questi punti? Con i punti COR si poteva partecipare ai giochi che venivano organizzati per la festa dei ragazzi, alle “olimpiadi oratoriane”, ai tornei sportivi, alle attività estive. Era fondamentale in ogni attività avere un comportamento educato e corretto e avere rispetto per le regole. Con questa organizzazione e un po’ più di rispetto, l’oratorio era uno spazio di formazione e di vera crescita cristiana.

Storia e significato della festa dell'Immacolata

a cura di Giuseppe

L’8 dicembre ricorre la solennità più alta e più preziosa di Colei che dei Santi è chiamata Regina. L’Immacolata Concezione di Maria è stata proclamata nel 1854, dal Papa Pio IX. Ma la storia della devozione per l’Immacolata è molto più antica. Precede di secoli, anzi di millenni, la proclamazione del dogma che come sempre non ha introdotto una novità, ma ha coronato una lunghissima tradizione. Già i Padri della Chiesa d’Oriente, nell’esaltare la Madre di Dio, avevano avuto espressioni che la ponevano al di sopra del peccato originale. L’avevano chiamata: “Intemerata, incolpata, bellezza dell’innocenza, più pura degli Angeli, giglio purissimo, germe non avvelenato, nube più splendida del sole, immacolata”. In Occidente, però, la teoria dell’immacolatezza trovò una forte resistenza per uno scoglio dottrinale che fu superato dal francescano Giovanni Duns,. Dopo di lui, la devozione dell’Immacolata si diffuse sempre di più. Dal 1476, la festa della Concezione di Maria venne introdotta nel Calendario romano. Sulle piazze d’Italia, predicatori celebri tessevano le lodi della Vergine immacolata: tra questi, San Leonardo da Porto Maurizio e San Bernardino da Siena. Nel 1830, la Vergine apparve a Santa Caterina Labouré, la quale diffuse poi una “medaglia miracolosa” con l'immagine dell’Immacolata, cioè della “concepita senza peccato”. Questa medaglia suscitò un’intensa devozione e molti Vescovi chiesero a Roma la definizione di quel dogma che ormai era nel cuore di quasi tutti i cristiani. Così, l’8 dicembre 1854, Pio IX proclamava la “donna vestita di sole” esente dal peccato originale, tutta pura, cioè Immacolata. Quattro anni dopo, le apparizioni di Lourdes apparvero una prodigiosa conferma del dogma che aveva proclamato la Vergine “tutta bella”, “piena di grazia” e priva di ogni macchia del peccato originale. Una conferma che sembrò un ringraziamento, per l’abbondanza di grazie che piovvero sull’umanità. Dalla devozione per l’Immacolata ottenne immediata diffusione, in Italia, il nome femminile di Concetta, in Spagna quello di Concepción.

La storia ed il significato dell’oratorio: Don Bosco…ultima parte

a cura di Sara

Nel numero precedente abbiamo raccontato degli inizi dell’opera di Don Bosco e della formazione del primo gruppo di ragazzi che avrebbe dato il via all'Oratorio di Don Bosco…era l’8 Dicembre 1841….
Non passò molto tempo che il gruppo crebbe a tal punto che il sacerdote richiese l'assistenza di tre giovani preti: Don Carpano, Don Ponte e Don Trivero. Anche alcuni ragazzi cominciarono ad aiutarlo specialmente per tenere a bada i più impulsivi ed indisciplinati. Nella primavera del 1842, al ritorno dal paese, i fratelli Buzzetti conducevano con loro il più piccolo, Giuseppe, che si affezionò molto a Don Bosco e decise, in età adulta, di seguire la via del sacerdozio, divenendo così suo braccio destro nella gestione del futuro ordine salesiano.
Nell'Autunno del 1844 Giuseppe Cafasso comunicò a Don Bosco che era stato scelto per dirigere l'ospedale di Santa Filomena. Don Cafasso sperava che l'amico potesse fare amicizia con Giovanni Borel, un sacerdote legato allo stesso re, che avrebbe sicuramente potuto aiutarlo con dei finanziamenti economici per l'Oratorio.
Il 12 Aprile del 1846, nel giorno di Pasqua, finalmente Don Bosco trovò un posto per i suoi ragazzi, la tettoia Pinardi a Valdocco, niente di più che una tettoia con un prato, certo non sarà stato un luogo da favola, ma era pur sempre uno spazio tutto loro dove potersi ritrovare, come si suole convenire in questi casi, "meglio de niente".
Nel 1854 don Bosco diede inizio alla Società Salesiana, con la quale assicurò la stabilità delle sue opere e del suo spirito anche per gli anni futuri. Dieci anni dopo pone la prima pietra del santuario di Maria Ausiliatrice.
Nel 1872, con Santa Maria Domenica Mazzarello, fondò l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con lo scopo di educare, con il medesimo spirito, la gioventù femminile. Don Bosco fu davvero contagioso per tutti, il suo messaggio educativo si condensò intorno a sole tre parole:ragione, religione, amorevolezza. Ma alla base ci fu un immenso e profondo amore per i giovani e si sa che l'amore è la chiave per aprire tutte le porte e fu la chiave della sua opera educativa.
E noi che altro potremmo fare se non ricordarlo, seguire i suoi insegnamenti e dirgli grazie?!

Ma chi era San Tarcisio? Terza ed ultima parte

a cura di D. Domenico

Tarcisio era un ragazzino che frequentava le Catacombe di San Callisto ed era tanto fedele alla vita della giovane Chiesa romana da ricevere tutti i sacramenti, nonostante essi si amministrassero allora solo agli adulti; prima del battesimo si richiedeva a quei tempi un periodo triennale ("catecumenato") di preparazione. Durante la Veglia Pasquale Tarcisio ricevette i tre sacramenti dell'iniziazione cristiana, il battesimo, l'eucaristia e la confermazione. Negli anni dell’imperatore Valeriano le persecuzioni erano veramente brutali ed era diventato assai difficile il compito dei diaconi e degli accoliti, che dovevano portare l'eucaristia dalle Catacombe alle carceri, dove erano imprigionati i cristiani, e agli ammalati. Un giorno il sacerdote si guardò attorno per cercare qualcuno che si incaricasse di tale gravoso compito. Solo Tarcisio si offre volontario. Alla protesta del sacerdote, che lo riteneva troppo giovane, egli rispose: "Morirò piuttosto di cederla". Il pericolo era sia di essere imprigionati, in quanto cristiani, sia di vedersi sottratta l’ostia consacrata, il che sarebbe stato un sacrilegio. Tarcisio attraversò dunque le vie della città, evitando sia i luoghi molto frequentati sia quelli troppo deserti. Non distava molto dal carcere: c'era soltanto da attraversare una grande piazza, dove alcuni ragazzi che giocavano. Tarcisio era da loro conosciuto, ma non sapevano che era un cristiano. Egli rifiutò l'invito a giocare ma uno di loro si accorse che custodiva qualcosa. Giunse un signore anziano che capì che era un cristiano che portava l’eucaristia e dette inizio al pestaggio: il sangue di Tarcisio cominciò a spandersi su quel luogo. Giunse allora un ufficiale di nome Quadrato, segretamente cristiano, che intimò ai ragazzi di andarsene. Si chinò quindi sul morente Tarcisio che gli disse: "Io sto morendo, Quadrato, ma il Corpo del Signore è salvo! Ti prego, portami dal sacerdote!". Giunto là, Tarcisio era già morto. Subito le sue spoglie furono poste nelle stesse Catacombe di San Callisto.

lunedì 9 novembre 2009

L’oratorio “ideale”

di Giorgia e Claudia

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Spazio Giovane: Noi timidi che ci sentiamo gli occhi del mondo addosso.

a cura di Sandra

L’etimologia della parola timidezza ci dà delle informazioni sul significato relazionale di questo termine; deriva infatti dal latino “timere”, temere. La persona timida teme il giudizio negativo dell’altro. La domanda nasce spontanea: si nasce o si diventa timidi? Risposta: si nasce e si diventa timidi. Sappiamo infatti che l’individuo viene al mondo con un suo “carattere” dato da madre natura; per esempio, potrà tendere maggiormente all’introversione oppure all’estroversione. Mettiamo il caso di un bambino con una tendenza innata alla cautela, alla riservatezza, che incontra un ambiente familiare caratterizzato da modalità educative ipercritiche, svalutanti.
Possiamo prevedere che non riuscirà a sviluppare quel sufficiente grado di sicurezza, nelle proprie abilità, indispensabile per tollerare le frustrazioni che nella vita inevitabilmente incontrerà.
Appare chiaro come la timidezza sia una modalità comportamentale che si autorinforza. Spesso infatti, se ci diciamo che “non ce la faremo”, questa profezia si autoavvererà. Come uscire da questo circolo vizioso? Formula magica: ripetiamo dentro di noi che nessuno è per¬fetto (tanto meno noi), che tutti sbagliano, e che il giudizio critico più feroce siamo noi stessi a darcelo. Quindi, se diventiamo meno severi con noi stessi, dandoci il permesso di sperimentare, uscendo dall’”angoletto”, gradualmente svilupperemo la consapevolezza che andiamo bene così come siamo e che la vita va vissuta e non guardata dal balcone.

INTERVISTA A DON PAOLO

a cura di Chiara Campanelli

Sei sempre stato credente?
Sì, sono cresciuto in una famiglia molto credente, che mi ha educato nella fede e mi ha incoraggiato nell’impegno parrocchiale a partire dalla cresima, come allievo catechista nella mia parrocchia dall’età di 12 anni.

Saresti in grado di raccontare la tua storia, prima di diventare prete?
Negli anni del liceo ho vissuto come tutti gli altri, con amicizie nel gruppo parrocchiale, poi, terminato il liceo, ho frequentato l’università nella facoltà di fisica, poi ho iniziato a studiare teologia per laici e ho insegnato religione per un anno. A 22 anni sono entrato in seminario.

Nel corso della tua vita ci avevi pensato di diventare prete, quando avevi, per esempio, 17 anni?
Sì, quando avevo 13 anni, e ho frequentato un gruppo vocazionale per due anni, ma poi ne sono uscito perché non pensavo che fosse quella la mia strada. Qualche anno dopo mi sono fidanzato.

Quali erano e sono i tuoi hobby?
Suonavo la chitarra molto volentieri e mi piacciono gli sport di montagna.

Cosa ti piace di più della vita da prete?
Il rapporto con le persone, nelle quali incontro Gesù, e l’amore per la Chiesa.

La cosa che ti piace di S. Tarcisio e la cosa che non ti piace.
Mi piace la possibilità di iniziare nuovi percorsi pastorali e non mi piace quando si chiacchiera molto.

Hai mai avuto un amico del cuore e come si chiama? A che età l’hai avuto?
Ne ho due. Il primo è Alessandro, che ho conosciuto all’età di 3 anni e col quale siamo stati sempre in classe insieme fino alla fine del liceo. Il secondo si chiama Giovanni, che ho conosciuto quando ho fatto gli incontri di preparazione in seminario, col quale abbiamo ancora molti rapporti, visto che viviamo qui insieme.

Quando eri piccolo, cosa volevi fare di lavoro?
Volevo fare il torero, quando ero piccolo. Crescendo, volevo poi fare l’ingegnere.

Oratorio Spazio di Preghiera

a cura di Antonio

Oratorio San Tarcisio, un pomeriggio qualunque di tanti anni fa. L’oratorio è pieno, tutti sono in attività: gioco, formazione, manutenzione, pulizia…Sono le ore 1 7: ad un tratto un fischio ripetuto. Non è l’ora di chiusura, è l’ora della preghiera…. e tutti sono invitati a partecipare sotto la picchietta della Madonnina alla quale sono dedicati tutti gli oratori di Roma. È una preghiera semplice e breve e tutti in oratorio a quell’ora si fermano per ringraziare e pregare la Madonna per i benefattori e collaboratori degli oratori romani.
Questo è un caro e lontano ricordo, ma in fondo non sarebbe bello riprendere quest’abitudine e ricordare che l’oratorio, oltre che luogo di gioco, è anche spazio di preghiera e formazione spiri¬tuale?

La “mia”parrocchia

a cura di Maddalena

E mi ritrovo sempre ogni mattina a correre su quei 7 gradini, ormai da lunghissimi anni, per cercare il Suo volto. E Lui sempre “gratui¬tamente” mi coinvolge: sacerdoti, bambini, donne anziane, religiose… Ogni giorno opportunità NUOVA per incontrarLo, sì perché il Suo punto di forza è la NOVITÀ. La mia parrocchia VIVE di incontri, vive di questa NOVITÀ.
La mia parrocchia è il cuore del quartiere, il centro; l’oratorio è il giardino del quartiere, e questo è strategico. Il Signore ha trovato un punto perfetto per farsi conoscere.
Tante persone sono “sinceramente” coin¬volte, attratte da Qualcosa di nuovo. Alcuni rimangono ad ascoltare ai margini, altri guardano. Nessuno è indifferente e tutti in qualche modo sono provocati. E questa è secondo me la strada: la provocazione, cioè suscitare in tutti una domanda, un desiderio, poi il Signore “coinvolge” ciascuno a tempo debito.
Le persone anziane sono tante e bisognose; sono le prime frequentatrici della Chiesa; sono le nonne che mantengono viva la fede in Gesù. Insegnano le preghiere ai bambini che vengono al catechismo. L’incontro con loro comunica fede e speranza. I bambini sono tantissimi e si riversano in oratorio come “palline” e godono di questo spazio. Per loro è il mio sguardo di predilezione. Li seguo nella catechesi e vorrei consegnare loro ciò che altri amici mi hanno trasmesso: “TUTTO È VOSTRO SE VOI SIETE DI CRISTO”. Cioè aprirli a questi incontri, a questa NOVITÀ che sola può salvare la nostra vita.
La mia parrocchia risponde REALMENTE a seguire GESÙ: VIA, VERITÀ E VITA; non è un cumulo di iniziative e di impegni che potrebbero dissolversi nel riempimento di vuoti, e questo grazie a don Paolo e agli altri sacerdoti. Si concentra nell’essenzialità del messaggio cristiano: IL DONO DI SÉ NEL “COINVOLGIMENTO” DEL PADRE.

La storia ed il significato dell’oratorio: Don Bosco

a cura di Sara

Vi ricordate la nostra storia dell'oratorio? Ci eravamo lasciati con l'opera di San Filippo Neri, ma non si può parlare di oratorio senza fare riferimento ad un altro importantissimo e bellissimo santo che l'Italia ha avuto: San Giovanni Bosco meglio conosciuto come Don Bosco.
Ma veniamo al punto, che cosa fece di tanto straordinario questo sacerdote?
Don Bosco, nato a Castelnuovo d'Asti nel 1815 e morto a Torino nel 1888, dopo aver concluso i suoi studi in seminario, fu invitato in Convitto a Torino da un altro sacerdote Giuseppe Cafasso, nel 1841.
Una volta arrivato a Torino, ispirato dalle notizie riguardanti Giovanni Cocchi, che prima di lui aveva tentato di radunare in oratorio i ragazzi disagiati e più difficili, Giovanni Bosco decise di scendere per le strade della città ed osservare direttamente, con i propri occhi, in quale stato di degrado fossero i giovani del suo tempo.
Quella che scoprì fu una terribile realtà: in quegli anni infatti si stima che ben 7184 bambini sotto i dieci anni fossero impiegati nelle fabbriche e sfruttati per poche lire.
Nella piazza San Carlo, egli si tratteneva a conversare con piccoli spazzacamini e giovanissimi lavoratori che gli confidavano le problematiche del loro mestiere e della loro vita, spesso li difen¬deva anche dai soprusi dei lavoratori più adulti che tentavano di sottrarre loro la misera paga guada¬gnata, insomma non era proprio la classica vita rose e fiori.
Insieme a Don Cafasso cominciò a visitare anche le carceri e inorridì di fronte al degrado nel quale vivevano giovani dai 12 ai 18 anni, rosicchiati dagli insetti e desiderosi di mangiare anche un misero tozzo di pane.
L'approccio con i detenuti non fu affatto semplice, vi lascio immaginare, ma la sua fede e la sua perseveranza conquistarono a poco a poco tutti i ragazzi, che gli promisero che non appena fos¬sero usciti di prigione lo avrebbero raggiunto alla chiesa di San Francesco.
L'8 Dicembre1841 incontrò, prima di celebrare Messa, Bartolomeo Garelli nella sacrestia della chiesa di San Francesco di Assisi. Questi fu il primo ragazzo che si unì al suo gruppo.
Ma qual'era l'obiettivo di Don Bosco? Vi starete chiedendo, il suo intento, pensate un po', era quello di radunare attorno a sé tutti i bambini ed i ragazzi disagiati nonché gli ex-detenuti per dare il via ad una nuova attività: quella dell'Oratorio di Don Bosco. (continua…..)

Ma chi era San Tarcisio? Seconda parte…

a cura di Don Domenico

Il nome del martire non era Tarcisio, ma Tarsicio, che vuol dire «di Tarso», cioè della città della Cilicia, nella quale era nato l'Apostolo San Paolo. L’unica notizia della sua epoca è la scritta posta da papa Damaso sul suo sepolcro: «Tarcisio portava i misteri di Cristo, quando una mano criminale tentò di profanarli. Egli preferì lasciarsi massacrare, piuttosto che consegnare ai cani arrabbiati il corpo del Signore». C'è un altro particolare suggestivo che appare nelle moderne rievocazioni di San Tarcisio e del suo martirio: quello dell'Ostia rimasta impressa sulla carne del giovane Martire come un sigillo di fedeltà e di purezza. E infatti, il Martirologio Romano, compilato più di mille anni dopo, precisa che sul cadavere del Santo Martire «non fu ritrovato niente del Sacramento, né in mano né tra le vesti». Per spiegare tale prodigiosa sparizione la fantasia devota immaginò che la particola consacrata, strenuamente difesa dal Martire, fosse diventata carne della sua carne, for¬mando così, con lui, un'unica ostia immacolata. Il culto a S. Tarcisio riprese nel secolo scorso grazie al Cardinale Wiseman, autore di Fabiola, il fortunatissimo romanzo sulla «Chiesa delle Cata¬combe», in cui Tarcisio appare come un fanciullo forte e consapevole. Una cappella è stata in¬ti¬tolata a lui dal Collegíum Tarsicii a s. Tarcisio presso la parrocchia del S. Cuore al lungotevere Prati. Nel secolo scorso il santo dell'Eucaristia è stato scelto come patrono dei Chierichetti e degli Aspiranti minori della Gioventù Italiana dell'Azione Cattolica. La data della commemorazione del santo martire è fissata al 15 agosto dal Martirologio Romano e dal Sinassario armeno; nel Colle¬gio Capranica di Roma la festa ricorre il 25 novembre. (continua…)

sabato 7 novembre 2009

Crocifisso: questo sconosciuto!

Mi suscita sempre grande stupore – per non dire seria preoccupazione – sentir parlare tutti e a tutti i livelli di crocifisso SI, crocifisso NO accampando semplici giustificazioni tradizionalistiche e simboliche.
C’è chi dice che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dovrebbe occuparsi di problemi più seri come la lotta alla droga ed all’immigrazione clandestina non sapendo, invece, che tale Corte non ha niente a che vedere con l’Unione Europea. La Corte (emanazione del Consiglio d’Europa di
cui fanno parte 47 Paesi e la Santa Sede ne è osservatore) può solo occuparsi di ricorsi da parte degli Stati membri e dei loro cittadini per presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo.
C’è chi definisce il crocifisso un “simbolo inoffensivo”, come dire: lasciatelo là, guardate altrove, non fa male a nessuno!
Per non parlare poi degli “esperti” del momento: privi di morale ed etica cristiana ma pronti a tirar fuori la spada della Crociata per poi tornare a idolatrare il dio denaro o a dedicarsi a riti pagani del dio Po ed a matrimoni celtici.
La verità è che non esiste nessuna legge (così come si definisce giuridicamente) che da valore al crocifisso. Se ne parla solo nei regolamenti ministeriali relativi agli “arredi scolastici” alla stregua di banchi, sedie, lavagne, cattedre, ecc.
Gesù Cristo non è né “simbolo di una tradizione” né, tantomeno, semplice “simbolo della civiltà ebraico-cristiana”.
Gesù Cristo è un FATTO STORICO, una PERSONA REALE, uccisa e torturata in malo modo pur avendo la possibilità di salvarsi.
È uno “scandalo” sia per chi crede nella Resurrezione e sia per chi si limita al dato storico della crocifissione.
Gesù Cristo è sì un “simbolo” ma di sofferenza e di speranza, di libertà e di umanità; soprattutto, è un “simbolo” di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare…”) e di gratuità (“Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”).
In una società come la nostra, dove tutto è in vendita – compresi affetti e sentimenti – dove gli interessi individuali ed egoisti sono la regola, Cristo è lo “scandalo”.
Per ebrei e musulmani, Gesù è uno dei grandi profeti: perché dovrebbero sentirsi offesi?
Tornano, quindi, attuali che parole di Natalia Ginzburg, atea, scrittrice, giornalista, deputata del PCI scritte – pensate – il 22 marzo 1988 su “L’Unità”: “il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. … Sono duemila anni che diciamo "prima di Cristo" e "dopo Cristo". O vogliamo forse smettere di dire così? … Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo, cancella l’idea di Dio ma conserva l’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. … Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la SOLIDARIETÀ FRA GLI UOMINI. E di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici. Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto "ama il prossimo come te stesso". Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade. Si parla tanto di pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole? Sono l’esatto contrario del modo in cui oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo sempre, trovando esattamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo più difficile ancora, o anzi forse completamente impossibile, e tuttavia sentendo che là è la chiave di tutto. Il crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo abituati a veder quel piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte del muro. Ma se ci viene di pensare che a dirle sia stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno. … Cristo ha scacciato i mercanti dal Tempio. Se fosse qui oggi non farebbe che scacciare mercanti. Per i veri cattolici, deve essere arduo e doloroso muoversi nel cattolicesimo quale è oggi. … Il crocifisso fa parte della storia del mondo. I modi di guardarlo e non guardarlo sono, come abbiamo detto, molti. Oltre ai credenti e non credenti, ai cattolici falsi e veri, esistono anche quelli che credono qualche volta sì e qualche volta no. Essi sanno bene una cosa sola, che il credere, e il non credere vanno e vengono come le onde del mare. Hanno le idee, in genere, piuttosto confuse e incerte. Soffrono di cose di cui nessuno soffre. Amano magari il crocifisso e non sanno perché. Amano vederlo sulla parete. Certe volte non credono a nulla. È tolleranza consentire a ognuno di costruire intorno a un crocifisso i più incerti e contrastanti pensieri”.
Questo è stato scritto 20 anni fa da una non credente. Basterebbe raccontarlo a tanti genitori, insegnanti, ragazzi e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia – si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso.
Quanti di noi oggi sono riusciti a farlo? Passateparola

venerdì 16 ottobre 2009

Vi siete mai chiesti perché i ragazzi si prendono in giro?

Prendo in giro te per essere ok con me stesso
Sandra

Spesso quando ridicolizziamo un nostro compagno lo facciamo perché abbiamo bisogno di sentire che è lui ad avere determinati difetti, a non avere determinate capacità, non noi. Classico è l’esempio dell’amico che viene preso in giro perché non è abile nel gioco del pallone. Dietro a quel chiamarlo ripetutamente “ schiappa” può nascondersi la paura di essere inadeguati come forse è lui e la necessità di sapersi diversi, ossia bravi. Meno siamo sicuri di essere bravi più abbiamo bisogno di sentirci bravi, niente di più facile che sentirsi bravi prendendo in giro “una schiappa”. Spesso inoltre confondiamo una specifica capacità con la totalità della persona (non sai giocare a pallone quindi non vali niente)
Tale modo di funzionare è molto presente nell’adolescente, che turbato dai continui mutamenti fisici e psicologici si aggrappa a degli aspetti di sé, confondendole con la propria totalità. Quindi se sono una schiappa nel gioco del pallone sono una schiappa nella totalità del mio essere, ossia non valgo niente. Tutto ciò fa talmente paura che più la persona è fragile, quindi incapace di gestire l’ansia, più sarà costretta a cercare forme di rassicurazione di tipo proiettivo, ossia metterà sull’altro le proprie inadeguatezze e ne prenderà le dovute distanze anche tramite la ridicolarizzazione.
Quindi ogni volta che sentiamo il bisogno di prendere in giro un compagno dovremmo chiederci in che cosa noi ci sentiamo inadeguati!

La storia ed il significato dell’oratorio

San Filippo Neri ed il primo oratorio moderno
Sara

Prima d'ora non mi ero mai chiesta quale fosse la storia dell'oratorio, non di uno in particolare, ma dell'oratorio in generale; eppure fin da quando ero piccola ho frequentato questo luogo speciale, i primi tempi, in compagnia, o forse meglio dire accompagnata, dai miei genitori ed in seguito, con la classica comitiva di amici ed amiche tra risate, pettegolezzi, litigi, riappacificazioni, schiumate di carnevale e gavettoni estivi, chiunque lo viva o lo abbia vissuto in passato, dentro sè non può non sentirsi un po' cresciuto dall'oratorio.
Quindi adesso è venuto il momento di svelare il mistero: come è nato l'oratorio, quali sono le sue origini e perchè si chiama così?
Dovete sapere che l'oratorio deriva il proprio nome dal verbo latino oro,oras, che significa pregare, ebbene sì, l'oratorio rappresenta da secoli uno spazio adibito alla preghiera di famiglie o comunità. Il significato di oratorio moderno nel corso degli anni si è arricchito grazie al prezioso contributo di due importanti sacerdoti: San Filippo Neri e Don Bosco.
San Filippo Neri creò il primo oratorio "moderno" nel 1550.
Facile!!! Penserete voi. Ed invece facile non lo fu per niente, anzi si imbattè in una vera e propria impresa soprattutto per quanto riguardava l'educazione dei ragazzi, ehh..questi giovani, ma alla fine, con la sua pazienza e la sua grande benevolenza riuscì a raggiungere il cuore dei suoi pupilli, ragazzi di strada li chiamerebbero oggi, ancora vengono ricordate alcune delle più celebri esclamazioni di questo santo, che sprizzava gioia e simpatia da tutti i pori: "State bboni (se potete...)!". Un'altra sua celebre frase, un'imprecazione di impazienza poi attenuata dall'augurio della grazia del martirio: "Te possi morì ammazzato... ppe' la fede!". Non per niente lo definirono "il giullare di Dio".

Intervista a Don Domenico

Don Domenico perché ti sei fatto Prete?
Antonella B.

D) Perché ti sei fatto prete?
Perche’ la persona più bella che ho mai conosciuto è Gesù e volevo aiutarlo nel suo lavoro.
D) I tuoi genitori erano contenti quando hai deciso di farti prete?
Mia madre si, mio padre no perchè non è credente.
D) Hai mai marinato la scuola?
Una sola volta e un vecchietto mi fece una ramanzina che ancora ricordo.
D) La tua materia preferita?
Alle medie astronomia, al liceo italiano.
D) Tua mamma ti ha ai data le sculacciate?
Si e mi metteva in punizione
D) I primi giorni da prete che effetto ti hanno fatto?
Ero felicissimo come in un viaggio di nozze.
D) La sera prima di andare a letto ripensi alle buone azioni ?
Cerco di pensare alle cose che ho fatto male e alle persone che mi hanno fatto del bene e le ringrazio
D) Cosa ti manca della vita precedente?
Andare ai concerti, ora non ho i soldi e il tempo
D) Quale è la tua canzone del cuore?
All Along the Watchtower - Bob Dylan

Ma chi era San Tarcisio ?

Lo sapete che la sua statua è conservata al Louvre di Parigi. L’unica chiesa dedicata a lui nel mondo è però la nostra Ma noi conosciamo la sua storia?
Don Domenico
A San Tarcisio sono stati dedicati altari a Grottaferrata, Napoli, Pesaro, Forlí, Fossano, Versailles, etc. Una efficace scultura di S. Tarcisio, ad opera di Falguière, ispirata ad un'opera di David, è conservata al Louvre; S. Tarcisio vi è rappresentato steso a terra stringendo al cuore l'Eucaristia. A Roma si conserva un dipinto del Cisterna nella chiesa del Corpus Domini alla Nomentana; altri quadri sono nelle chiese di S. Silvestro in Capite, di S. Maria in Monte Santo, di S. Sebastiano sulla via Appia; una scultura del faentino Enrico Dal Monte (1916) è venerata nella chiesa di S. Lorenzo in Faenza. L’unica chiesa però dedicata a lui è la nostra, che viene aperta al pubblico nell’aprile del 1927. Nel 1933 padre Leonardo Bello, Ministro generale dell’Ordine Francescano, accetta la proposta del Vicariato di Roma di erigere una parrocchia e di costruire di conseguenza una nuova chiesa. La parrocchia è eretta il 1 marzo 1935; la nuova chiesa è costruita negli anni immediatamente precedenti la guerra, nel 1938-1939. (prima parte)

I segreti delle ricerche su google

Vediamo qualche semplice trucchetto.
Gamon

Se inseriamo un'espressione composta da una o più parole all'interno delle virgolette ("") nella della casella di testo di Google , i risultati che otteniamo sono le pagine che contengono esattamente l'espressione cercata mantenendo l'ordine delle parole presenti nell'espressione.
Una particolarità utile delle virgolette il carattere jolly, l'asterisco *. Per capire il funzionamento del carattere jolly è sufficiente un esempio: la ricerca "computer portatil*" avrà come risultato pagine contenenti l'espressione ordinata "computer portatile" e “computer portatili". Il carattere * oltre a sostituire lettere puo' sostituire anche parole: se cerchiamo l'espressione "computer *", otterremo pagine che contengono la parola computer seguita da qualsiasi altra parola.
Il parametro filetype:, consente impostare dopo i due punti l'estensione del file che ci interessa trovare. Cercando filetype:pdf guida cucina, si trovano i documenti pdf relativi alla cucina. Stessa cosa per file word, excel, file mp3.
Infine il parametro inurl: di Google, consente di trovare pagine nel cui indirizzo web è presente la parola specificata (esempio inurl:download freeware giochi se cerchiamo siti in cui è possibile scaricare giochi gratuitamente).

giovedì 15 ottobre 2009

Cercasi giornalisti...

La redazione del giornalino è alla ricerca di giovani giornalisti, grafici e fumettisti.
Se sei interessato scrivi a oratoriosantarcisio@yahoo.it o contatta Don Domenico.

San Tarcisio Reporter è on line....

Da oggi il giornalino dell'oratorio è on line...
Il primo numero è disponibile: in oratorio, in Chiesa...chiedi a Don Domenico!

In questo numero troverai:
*Vi siete mai chiesti perché i ragazzi si prendono in giro?
*I segreti delle ricerche su google
*La storia ed il significato dell’oratorio
*Ma chi era San Tarcisio?
*La sfida...
*L'intervista:Don Domenico perché ti sei fatto Prete?